Quando sogno la mia città
nel volontario esilio
sento le mie radici in quell’angolo
che va dalle Logge del Vasari e dell’Orcagna
fino a tutto il sagrato di Palazzo Vecchio.
Lì è il mio ceppo oramai estinto.
E mi sento di quello un lontanissimo
esile virgulto
cresciuto inutilmente e fuori tempo
per vivere nella malinconia di un ricordo
ai piedi di quei giganti che uscirono dall’ombra
per proclamare con tutta la loro forza e bellezza
la forza e la bellezza dell’uomo.
E dove sembra di sentire ancora
il crepitio di una fiamma
che doveva bruciare un frate sacrilego
insolente e ambizioso
contro tanta gioia di vivere
insorto furibondo.
La sua bocca emanava
un alito verdognolo parlando,
e che pretese d’imporre la propria volontà
a Pontefici e Sovrani: perfino a Cristo
che non rispose al suo orgoglioso appello.
Ma bene rispose da Roma il suo Vicario
per cui di tanta boria
nemmeno un pugno di cenere è rimasto.